Cronaca Otranto Autorizzazione paesaggistica al progetto presentato dal figlio, assolto tecnico comunale La vicenda, ad Otranto, risale nel 2015: il tecnico comunale era accusato per un conflitto d’interessi nel procedimento in questione. Ma nell’udienza preliminare i legali sono riusciti a f... 20/02/2020 a cura della redazione circa 3 minuti La vicenda, ad Otranto, risale nel 2015: il tecnico comunale era accusato per un conflitto d’interessi nel procedimento in questione. Ma nell’udienza preliminare i legali sono riusciti a far valere le ragioni del proprio assistito. È stato assolto il tecnico comunale di Otranto, Pino Tondo, perché “il fatto non sussiste”, per una vicenda che risale al 2015, anno in cui il professionista aveva rilasciato l’autorizzazione paesaggistica a favore di un progetto per la realizzazione di una casa colonica in zona Mulino d’Acqua, poi regolarmente licenziato con permesso di costruire da parte del dirigente dell’area tecnica del Comune. Poco dopo erano partite le indagini da parte della Procura della Repubblica, avviate sul presupposto che il progetto in questione fosse stato redatto dal figlio da Tondo, anch’egli geometra, per conto di un proprio cliente. La situazione si riteneva aggravata per il fatto che la Soprintendenza avesse espresso parere negativo sull’intervento edilizio e che questo fosse stato ignorato sul presupposto della sua tardività e quindi, per legge, della sua natura non vincolante. Al tecnico comunale veniva contestato il conflitto di interessi, ritenendosi che in simile situazione si sarebbe dovuto astenere come prescritto della legge sulla trasparenza amministrativa, secondo cui “il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale”. Nel caso di specie non vi era stata astensione e, per questo, nei confronti del tecnico comunale era stato avviato un procedimento per abuso di ufficio. Tuttavia il procedimento si era in un primo momento concluso con una richiesta di archiviazione da parte del sostituto procuratore a cui erano state affidate le indagini. Ma il Gip, nell’esaminare la richiesta, aveva ritenuto sussistenti i presupposti per processare il tecnico per abuso d’ufficio ed ordinando, pertanto, al pm di formulare l’imputazione coatta nei confronti dello stesso. E così era avvenuto. L’udienza preliminare, tenutasi l’11 febbraio scorso dinanzi al Gup Toriello: il geometra Pino Tondo ha affidato la propria difesa agli avvocati dello Studio Finocchito & Partners, che hanno impostato la propria strategia sulla negazione della cosiddetta doppia ingiustizia, ovvero, perché possa ritenersi concretato l’abuso d’ufficio non è sufficiente che vi sia stato potenziale conflitto di interessi da parte del tecnico che ha rilasciato l’autorizzazione. Sarebbe altresì indispensabile la dimostrazione che il destinatario dell’autorizzazione non avesse diritto ad ottenerla. I difensori hanno dimostrato come nel caso di specie “il tardivo parere reso dalla Soprintendenza costituiva un parere non vincolante per l’indagato, che motivatamente lo superava nel rispetto di quanto prescritto dall’art. 146 d. lgs. n. 42/2004 e in armonia con quanto deliberato dalla commissione locale per il paesaggio, al cui deliberato il Tondo si adeguava pedissequamente, ivi comprese le prescrizioni limitative imposte al committente”. Questo il succo della motivazione della sentenza di “non luogo a procedere perché il reato ascritto non sussiste”, emessa dal giudice Toriello. Esprime soddisfazione l’avvocato Mauro Finocchito, titolare dello studio che ha assistito il tecnico comunale: “Esiste un giudice a Berlino; di questi tempi, molto duri per imputati ed indagati, si sono paradossalmente ribaltati tutti gli standard: purtroppo la vera notizia è quando amministratori e funzionari vengono assolti, e non il contrario. Per questo sono particolarmente soddisfatto. Ed anche per essere riuscito a dimostrare che, qualora un’autorizzazione paesaggistica sia dovuta, deve ritenersi lecita a prescindere da chi l’abbia rilasciata a chi; e che pure la Soprintendenza, come qualsiasi altra amministrazione, ha il dovere di rispettare i termini e le modalità per l’esercizio dei propri poteri di inibizione, non potendo pretendere il rispetto del proprio parere contrario se essa per prima non abbia rispettato la legge che impone i termini entro cui emetterlo”.
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